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WWW.HARISSA.COM

di Elia  Boccara

UNA COMUNITA' SUL WEB PER GLI EBREI DI TUNISIA SPARSI PER IL MONDO

LA SEDE: LOS ANGELES


   

Ho sempre invidiato i meridionali che vivono a Milano. Essi sono come me degli immigrati.   Ma per le feste prendono l'aereo o il treno ed in poche ore sono in famiglia.

Sono tornato nella mia Tunisi, invitato per un Convegno dall'Università locale. Lì sono nato, lì sono cresciuto e vissuto (salvo gli anni degli studi universitari, trascorsi in Italia) fino a trent'anni. Ma non ho più trovato il mondo che avevo lasciato.  Tunisi era una città cosmopolita, allegra,  piena di vita e di colore, quando c'erano ancora gli europei e gli ebrei: di questi ultimi ormai non c'è più quasi nessuno.

Ho percorso le strade della città e ne ho notato il grigiore, dovuto all'omogeneità della presenza umana: la cosa può sembrare normale ai turisti che non conoscono la Tunisia di una volta, ma non a chi in quella Tunisia è nato e cresciuto nella prima metà del XX secolo. L'ultimo giorno mi trovavo con un collega maltese nato a Tunisi, ora docente in un'Università parigina, ed insieme abbiamo pensato: è giunto il momento di andarcene. Attraversavamo il paese in macchina: dinanzi a noi sfilavano le colline e le campagne che ci erano familiari, ma il nostro cuore si stringeva. Provavamo il medesimo malessere.

Sono un neofita di Internet e neanche tanto appassionato. Uso abbastanza la posta elettronica, che è proprio una grande comodità. Un giorno però navigando su Internet noto per caso la sigla di uno strano sito: www.harissa.com. Credo che tutti sappiano cosa sia l'harissa: è quel condimento tunisino di color rosso  a base di peperoni piccanti.  Sta a vedere, mi sono detto, che si tratta di un sito promozionale.

Invece ecco apparire la prima pagina con su scritto: LE WEB DES JUIFS TUNISIENS, con due possibilità: una versione francese ed una inglese. Decido per la francese e penetro, accompagnato da una musica giudeo-araba, in un mondo che mi è familiare. C'è subito la lista di tutti gli articoli della settimana e delle due settimane precedenti. Si parla di tutto: di ricordi, di aspetti culturali, religiosi o folkloristici. La mia prima reazione però è quella della estraneità: io non sono un ebreo tunisino, sono un ebreo italiano, di origine livornese. Ci sono dei titoli che indicano i vari argomenti trattati. Clicco "Tunisini celebri": viene fuori una lista di ebrei che hanno fatto la storia del paese, tra questi mio zio Victor Valensi, l'architetto che ha fatto la grande sinagoga di Tunisi  e altri "livornesi". Perché - mi chiedo - si sono annessi queste persone che tunisine non erano?  Scrivo un e-mail al direttore Jack Halfon. Gli faccio i complimenti per il sito, ma, lamentandomi del poco spazio dato ai livornesi gli ricordo il ruolo che  abbiamo svolto.

Dopo una settimana mi piovono e-mail da varie parti del mondo. Sono il ringraziamento di tanti "livornesi" per aver sostenuto la nostra causa.  Apro Harissa.com e scopro che la mia lettera era stata pubblicata. Faccio un altro giro e trovo un significativo estratto dell'importante libro di Lionel Lévy "La Nation Juive Portugaise - Amsterdam, Livourne, Tunis - 1591-1951", poi appare un articolo di  Marco Soria dal titolo "Un Livournais sur les traces de son passé", e ancora la foto del Rabbino capo dei Livornesi di Tunisi Rav. Jacob Boccara (1843-1941).   Infine capisco: chi fa il giornale sono in  massima parte i lettori, i quali abitano nei quattro canti della terra, tanto per confermare che il Messia non è ancora arrivato.

Al mio ritorno da Tunisi invio ad Harissa una sintesi della mia relazione sulla Comunità Portoghese di Tunisi (1710-1944) presentata al Convegno.  Viene subito pubblicata. Ricevo altri e-mail, che esprimono soddisfazione, dagli Stati Uniti, dal Canadà, dalla Francia, da Israele. Sorgono dei nuovi amici, che mi danno subito o quasi subito del tu: ormai sono un harissien anch'io.  Il sito parla di tutto e si può anche sentire della musica folkloristica se si è attrezzati. 

Capisco che qui abbiamo una nuova Comunità ebraica tunisina aperta a tutti, senza distinzioni: l'appellativo "ebrei tunisini", ha perso il significato originario, cioè quello di ebrei con passaporto tunisino: ormai abbiamo a che fare con ebrei americani, canadesi, francesi, israeliani ecc. Sono tunisini in quanto sono nati e vissuti in Tunisia, oppure sono i discendenti di questi  tunisini, i quali non hanno dimenticato le loro radici.  Ci sono gli aficionados, come Emile Tubiana e Edith Shaked, che a volte discutono animatamente fra di loro nei Commentaires dei lettori che vengono pubblicati settimanalmente. 

Attraverso Harissa ci si può anche sposare. In Tunisia negli ambienti ebraici uno dei personaggi più popolari era la sensale di matrimoni, chiamata  "samsarà". Generalmente ti chiedeva come prima cosa se volevi un matrimonio "d'amour", oppure un matrimonio "d'argent": lei poteva fornire entrambi. Anche Harissa ha la sua Samsarà elettronica, debitamente aggiornata: i candidati  si presentano da soli, spesso senza peli sulla lingua e  danno il loro indirizzo elettronico (la località dove vivono è quindi ancora un mistero). Sbaglierò ma dai testi che ho letto dubito che il matrimonio sia sempre la condicio sine qua non

Navigando in Harissa mi ero messo in mente che la sede si trovasse in Francia, che è il paese che ha assorbito il maggior numero di ebrei profughi dalla Tunisia. Dovetti ricredermi quando ricevetti un e-mail  d'incoraggiamento dal direttore: si firmava Jack Halfon e mi scriveva da Los Angeles. E' così che Jacques Halfon, ebreo di Tunisi, è diventato prima Jack, e poi affettuosamente Jacò per gli harissiens che gli sono affettuosamente riconoscenti. Quale sia lo scopo di Harissa è chiaro e lo si legge nella presentazione del sito. Halfon precisa che, per ebrei tunisini si intendono tutti quegli ebrei che per venti secoli hanno abitato nel paese, compresi coloro che sono immigrati più tardi "principalmente dalla Spagna e dal Portogallo ai tempi dell'Inquisizione e più tardi dall'Italia, e in particolare da Livorno" Egli ricorda che questi ebrei sono stati gli artefici di un modo di vivere inconfondibilmente originale e pieno di poesia: l'obiettivo del Web è proprio di salvare la memoria storica di questo passato, anche a favore delle future generazioni.

Ma intanto Harissa si è anche rivelato uno strumento vivo di comunicazione tra gli ebrei di Tunisia sparsi per il mondo. Quando apro Harissa.com, mi accorgo che la Tunisia che ho lasciato è più viva e presente lì, in questo mondo virtuale, che nella Tunisia reale,  dove è rimasto solo l'involucro, mentre il contenuto è altrove.

Attraverso Harissa ho trovato delle care persone che non conoscevo e ne ho ritrovate altre che non vedevo da cinquant'anni. Da coloro che mi hanno ringraziato in nome delle loro origini livornesi, a quelli che credevano di scoprire attraverso i cognomi dei miei antenati una parentela coi loro avi. Dal produttore canadese che mi chiedeva di collaborare al lavoro preparativo di un film sull'Africa del Nord sotto il governo collaborazionista di Vichy e sotto i nazisti (e al quale ho dato tutte le informazioni in mio possesso, segnalando i nomi di qualche resistente e di qualcuno reduce dai lavori forzati imposti agli ebrei dai tedeschi) alla docente che andrà a Oslo quest'estate a un Congresso di Storia e che mi chiedeva delle foto di scene dell'occupazione nazista in Tunisia (e come faccio io che allora avevo dodici anni, a fornirgliele? Chi di noi si azzardava a fotografare i nazisti in azione?). Ma la scoperta più importante è avvenuta proprio qui a Milano: pochi giorni fa mi ha telefonato quel Marco Soria cui ho già accennato: è uno scienziato di chiara fama che opera nel Dipartimento per la ricerca biologica e tecnologica dell'Ospedale San Raffaele di Milano, ma il motivo del nostro incontro è il nostro amore per le comuni origini livornesi. Soria da vari anni ormai si dedica per conto proprio alla ricerca di ogni traccia dei suoi antenati, che a Livorno ricoprirono cariche prestigiose: ha raccolto una documentazione imponente sul passato della sua famiglia, e su quanto si è pubblicato sul contesto storico-culturale dei luoghi dove sono vissuti i suoi avi. Generosamente mi ha fatto partecipe di tutte le sue scoperte.  Così ci siamo conosciuti e siamo diventati amici.

Tra gli altri miei nuovi amici non posso tacere il nome di Emile Tubiana, che mi scrive dagli Stati Uniti. Egli ha tra i suoi antenati dei rabbini illustri e  vanta anche lui delle origini livornesi. Siamo coetanei, entrambi vicini ai settanta, ma lui ha vissuto tutta la sua infanzia e la sua adolescenza (che egli descrive in un libro che mi ha offerto), in condizioni ben diverse dalle mie. Mentre io vivevo nella capitale egli abitava a Béja, nell'interno.  Mentre a Tunisi vi erano delle delimitazioni abbastanza rigide tra le varie componenti etniche della popolazione, a Béja c'era  un grande senso di fratellanza fra tutti i gruppi: in quanto ai bambini, per loro le frontiere non esistevano: sguinzagliati com'erano, si ritrovavano sempre tutti insieme senza distinzione di religione o di nazionalità sia nei giochi sia nella scuola comune. Anche durante il periodo tremendo dell'occupazione tedesca la nostra sorte fu molto diversa.  Tunisi fu per sei mesi alla mercé dei nazisti, mentre Béja cadde subito in mano americana e la linea del fronte fu dall'inizio nelle immediate vicinanze della città, la quale subì tremendi bombardamenti da parte dei tedeschi: Tubiana descrive questi durissimi momenti; la sua famiglia, fu anche colpita dal colera e si rifugiò in una grotta dove a turno coloro che erano ancora sani curavano gli altri; si salvarono tutti. Dopo la sconfitta dei nazisti, durante l'occupazione americana, Tubiana, allora dodicenne, escogitò un traffico ingegnoso: la popolazione locale disponeva nelle proprie tessere annonarie di buoni per acquistare del vino; gli americani, che avevano a disposizione ogni ben di Dio  erano invece sprovvisti di vino. Il piccolo Tubiana pensò che per tenere alto il  morale dei liberatori a loro il vino facesse comodo, mentre alla popolazione affamata un po' di quelle scatolette e altri generi alimentari, di cui i magazzini statunitensi straripavano, facevano gola: organizzò quindi il baratto e la cosa ebbe un grande successo. La polizia francese lo arrestò per borsa nera, ma il comandante americano lo fece liberare e protesse questo piccolo commercio. Tubiana racconta poi che gli americani trattavano con grande umanità i prigionieri tedeschi: la domenica avevano libera uscita e passeggiavano liberamente nel paese, erano anch'essi dei poveri diavoli e si ritrovavano poi in chiesa a fianco di quegli americani che fino a poco tempo prima avevano combattuto. Nell'animo di Tubiana nessuna traccia di odio. Da allora pensò che sarebbe voluto andare a vivere in America. Da qualche decennio ha coronato il suo sogno, ma è tornato recentemente a far visita alla sua città natale e ha descritto in modo commovente la sua emozione in una poesia in giudeo-arabo, che egli ha tradotto in francese e che io, a mia volta,  tento  di ritradurre in italiano:

 

B L A D I

(La mia città natale)

 

Sono tornato da te, mia città dopo questa lunga nostalgia

Ho sentito le radici del mio cuore, come le rose e il gelsomino

Nella tua terra benedetta, il tuo grano abbondante

Le tue montagne verdi distese come un tappeto

Da lontano ti ho onorata e per il mio compleanno sono arrivato.

Ti ho visitata, mia città dopo anni di lontananza,

Ho rivisto la mia infanzia, quando ti ho scorta da lontano.

La tua bellezza è grande, e migliore delle ricchezze,

La tua bellezza è quella della mia mamma quando mi allattava,

Tornerò verso di te, mia città, senza trucco e senza henné

Con l'animo sereno e il cuore puro

Affinché di te si dicano solo parole di verità

E parole di amore e di purezza, del nostro Signore.

Da te ho strappato un bacio, hai aperto il mio cuore all'amore

Ricordandoti oggi il mio cuore ha trovato pace

La tua gioia è la mia, il tuo amore è il mio.

                                                                 19 gennaio 1993

 

 ( http://www.harissa.com/D_Ecoles/bladi_par_emile_tubiana.htm )


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